lunedì 1 giugno 2015

S. 2.0


Le coincidenze.
Non ci ho mai creduto davvero. Ma devo ammettere che a volte, il caso è strano.


Alla festa di fine corso non volevo neanche andarci.
Non sono per le mega feste, non sono per la musica urlata dalle casse dell'amplificatore, non sono per i bicchieri di vino ingollati uno dietro l'altro. 
Eppure, mi sono convinta. 
E ho fatto cose che non avevo mai considerato di fare ad una festa: divertirmi, ballare e bere.  
E si capiva che doveva essere una serata epocale già dal prologo. 
Nei primi venti minuti stavo già al secondo bicchiere. 
Dopo quaranta, già al sesto. 
Dopo di che penso di essermi fermata o forse no. 
Sta di fatto che mi sentivo invincibile e potente, e mi sembrava di essere al posto giusto, nel momento giusto. Era necessario a quel punto per me, considerato il delirio di onnipotenza che mi pervadeva, essere onesta e sincera fino in fondo: dovevo andare da P. e confessargli tutto, sul serio. Questa volta senza remore, né telefoni a fare da intermediari. Questa volta dovevamo esserci io e lui. E sarebbe stato abbastanza o sarebbe stato troppo. 
Un mio amico ha evitato pazientemente, che mi infilassi in discorsi scomodi in quello stato. 
E io come una bambina capricciosa protestavo, ma alla fine ubbidivo. 
Fino a quando la festa è finita, la musica e la mia euforia sono state spente, le luci e la mia lucidità accese. 
Ma avevo ancora sufficiente incoscienza o coraggio dentro di me per spingermi verso la sincerità. 
O dentro o fuori - mi sono detta. 
E sono andata da lui. 
Gli ho preso la mano: Vieni. 
Siamo andati fuori dal locale vuoto. 
L'aria fresca della notte mi svegliava i sensi, o forse era il suo profumo. 
Mi guardava interrogativo. 
E poi gli ho detto tutto. Tutto. Tutto. 
E lui mi ha detto che non sentiva niente. Niente. Niente. 
Ma lo sapeva. 
Sapeva che io sentivo tutto. 
E lui, lui non sentiva niente. 
Ma che lui mi ha tenuto vicino perché teneva alla nostra Amicizia, perché non voleva perdermi, perché aveva bisogno di me.
Lui non sente niente. 

E allora dove le metti le volte in cui abbiamo riso, fino a non saper più dove mettere le lacrime.
O gli abbracci che mi hanno tolto la terra sotto i piedi, perché di felicità ce n'era troppa e non sapevamo dove metterla.
Dove li metti gli sguardi di complicità, le parole di incoraggiamento, le serate passate a farci addormentare i brutti pensieri. 
Dove le discussioni senza filo logico, quando anche la causa è diventata una scusa ed è solo un motivo in più per litigare e poi fare pace. 
Il mio tutto, per lui è niente. 

Lo guardo, per un secondo. 
Lui mi guarda. 
Gli dico che ho capito e vado via. 
Lui mi dice che capirà se vorrò allontanarmi. 
Io gli dico che non posso fare altrimenti.
Non possiamo più essere amici. 
Non possiamo più essere niente. 

Questa volta sul serio, fine. 
Tieniti la tua vita mediocre, da cui non riesci a separarti. Una fidanzata che non ami, un paese troppo piccolo, una vita che non senti tua. 
Tieniti i tuoi pensieri, le tue preoccupazioni per te. 
Io ho una vita da mandare avanti. 
Io merito di più che aspettare. 


Oggi ho saputo dal suo aggiornamento di stato che il cellulare che avevo fatto cadere io, e che da quel giorno aveva lo schermo diviso in tre, si è spento per sempre.

Proprio la settimana scorsa, mi ha detto che tutte le volte che lo guardava, gli era inevitabile pensarmi. 

Ecco, ora è tutto più facile. 
Niente più cellulare. 
Niente più io.
Coincidenze. 

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