venerdì 5 dicembre 2014

La preghiamo di attendere in linea.

Ore: 8 e 15. Biblioteca. 
Compilo l'ingresso e mi siedo al mio tavolo preferito. 
La sala è vuota.
 Apro i libri. 
Il telefono squilla. 
Mi affretto a silenziarlo. 
Sei tu: P. 
Non so quanto tempo sia passato dall'ultima volta che mi hai scritto.
-ricordati il libro
-già fatto. Sto in biblioteca.
-prendimi il posto, sto partendo.
-ok.
-sei sola?
-si
-caffè? 
-ok 
Arrivi. Mi sorridi con gli occhi. 
Mi alzo. Andiamo. 
Cornetto e cappuccino.
Ti prendi cura di me come fossi una bambina. 
Mi prendi in giro e mi coccoli come se fossi una creatura fragile e delicata. 
E io, da te mi lascerei cullare davvero. Nel tuo abbraccio dormirei i sogni migliori. 
E poi sei bello davvero per me, anche se tu non riesci a vederti, Ti vedo io: Perché tu mi capisci con uno sguardo, mi fai ridere con una parola, mi sciogli con un sorriso. 
Io è un anno che aspetto te, illudendomi che le parole, le attenzioni, i gesti vogliano dire di più. 
Mi fai ingelosire e mi provochi sapendo che cadrò nella trappola del cacciatore, ma se sto attenta e la evito, tu ti arrabbi perché così non possiamo litigare.
Ci piace litigare. 
Mi piace litigare con te, discutere e sapere che siamo diversi in tante cose, ma nonostante questo non smetto di volerti bene. 
Mi piacerebbe smettere. 
Ma continuo a lasciare il mio cuore in attesa di te, sebbene sappia che Tu non arriverai mai. 
Dovrei abbassare la cornetta e lasciare la linea libera, altrimenti non potrà chiamarmi nessun altro.

sabato 15 novembre 2014

Sembra quasi Domenica.

Mi dondolo sul divano accoccolata alla mia camomilla calda. Le nuvole fuori minacciano guerra. In un sabato pomeriggio che assomiglia a Domenica, mi perdo nelle mie digressioni poco logiche. 
Mi dovete spiegare perché ho una predilezione per  i ragazzi impossibili.
Perché attirano la mia attenzione i ragazzi già impegnati, fidanzati, oggettivamente indisposti o indisponibili? È un problema. 
Io per mia natura sono una che non  tocca niente, perché rispetto il lavoro e lo spazio degli altri. Figurarsi se potrei mai insinuarmi, tra le mura di un amore già costruito. 
Così mi faccio da parte.
Quelli a cui piaccio io, invece, non mi vanno mai bene: troppo moscio, troppo pompato, poco atletico, troppo buono, troppo appiccicoso, poco socievole, troppo pressante, poco presente, troppo insistente. Quanto mi piacerebbe ricambiare, quanto vorrei che mi andasse bene il ragazzo TantoEducatoEcarinoCheFaTuttoPerBenino. 
Sarebbe tutto più facile, (probabilmente adesso non avrei l'acidità gastrica che mi autodigerisce la mucosa) e sarei soddisfatta e nella media. 
Ma io NO. 
Io mi ostino a cercare  il ragazzo che mi faccia battere il cuore all'impazzata, che mi prenda il cuore, la mente e la pancia. 
Non necessariamente o letteralmente nell'ordine. 
Io non riesco ad accontentarmi di altro, neanche a provarci, neanche per tentare la sorte. 
So per certo che, se non c'è chimica nella prima mezz'ora in cui ci parlo, allora la REAZIONE non avverrà mai. Non so se è perché non ci siano abbastanza reagenti, non so se perché manchino i cofattori o gli enzimi, fatto sta che mi ritrovo a dire un ciao che somiglia più ad un addio. 
Mi chiedo se questo mio modo di agire e pensare non sia più un meccanismo di autodifesa, una sorta di giustificazione con tanto di certificato del fatto che non posso/voglio impegnarmi in una relazione. 
Non lo so. 
Spengo tutto(anche i pensieri) e accendo la musica. Sperando che vada via anche la febbre.  

lunedì 3 novembre 2014

Corsi e ricorsi storici.

Nella giusta direzione mai. 
Mi sembra di essere ferma in un punto, una piazza, una stazione. In attesa di un passaggio, di un treno, di un cavallo bianco. 
Cambiano le persone intorno a me, ma io in fondo non cambio mai. Resto l'inguaribile romantica sognatrice, delusa inevitabilmente dai castelli di aspettative che sapientemente mi costruisco. Il lato positivo è che sono tornata ad innamorarmi della vita e dell'amore, quello negativo è che scelgo sempre le persone sbagliate. Ho un lanternino specifico per le figuracce, le cose che fanno ridere solo me e i ragazzi fidanzati. Con i piedi sulle nuvole e la testa nell'arcobaleno, devo imparare a scendere a terra perché non ci sarà mai spazio per una come me nella sua vita. Io che chiedo scusa in punta di piedi se faccio ritardo a lezione, come potrei intromettermi nella vita di due persone. Io che arrossisco se interrogata, dove potrei trovare l'arroganza per mettermi al primo posto. Io non posso. Ma allo stesso tempo, ogni tanto vorrei. Vorrei essere la prima scelta, la decisione di cui andare fieri, la luce negli occhi di chi mi racconta. Per adesso, torno sui miei passi. I miei sogni li lascio in disparte e lo saluto, facendo finta che il suo sorriso luminoso non mi mancherà.

giovedì 11 settembre 2014

Pioggia di pensieri.

Piove. 
Oggi non mi dispiace.
Oggi mi riposo. 
Dopo una settimana stressante: un esame dopo l'altro, incastrata tra scritti e orali, costretta a divincolarmi tra orari di ricevimento dei professori, stanze piene di studenti puzzolenti, ansia e attese.
Oggi mi concedo lo spazio e il tempo per me.
Ho pulito la camera da cima a fondo, destabilizzato l'ecosistema che si era insidiato sul parquet e sotto il letto. 
Buttato il superfluo, messo in ordine l'indispensabile.
E da una parte sembra di aver messo a posto anche lo spazio tra il cuore e lo stomaco dentro di me. 
Rilassata sul mio lettone mi godo le repliche di Dawson's Creek, mentre ascolto lo scrosciare instancabile della pioggia. Mi chiedo come ho potuto ai tempi del liceo, adorare questo telefilm insulso, sperando un giorno di dovermi ritrovare nella stretta condizione delle vicende tormentate dei protagonisti.
Non va così, per fortuna.
Stranamente appagata dalla mia vita così lontana da quella di un telefilm adolescenziale, ma più vicina all'estenuante ritmo di un quiz televisivo, mi rotolo nel mio stato di grazia, che si verifica uno o due volte l'anno.
Sperando che domani esca il sole.
Perché va bene che l'ottimismo è il profumo della vita, ma io sono sempre la solita meteoropatica. Dopo un po' senza il sole, mi annuvolo anch'io.

mercoledì 9 luglio 2014

PLAY

E' talmente tanto tempo che non scrivo qui su che per un attimo ho temuto di aver dimenticato la password. Eccomi qui.
Di nuovo.
Le note di "A sky full of stars" mi accompagnano, mentre le mie dita tengono il ritmo della canzone sulla tastiera.
Sto bene. Finalmente. Di nuovo.
Non so se dipenda dal fatto che ho passato uno degli esami più impossibili della mia facoltà.
Non so se dipenda dal fatto che ho trovato una persona che settimanalmente da ascolto e spazio ai miei pensieri.
Non so se dipenda da me, dagli altri, dal mondo.
Non sento più il peso di un enorme macigno sullo stomaco.
Respiro e sento solo l'aria che fluida entra tranquilla ad estendere i miei polmoni.
Finalmente sorrido.
Se prima ero convinta di essermi fermata, di non saper scalare la montagna che vedevo troppo alta. Ora no.
Se prima ero convinta che un passo fosse troppo, per la lunghezza delle mie gambe. Ora no.
Se prima ero convinta che fosse rimasto incastrato il tasto "PAUSE". Ora no.
Ora sento di aver schiacciato di nuovo il tasto "PLAY" sul lettore della mia vita.
Che gli eventi accadano, che la vita scorra.
Io non guardo più da lontano, io ci sono dentro.
Positività portami via.

venerdì 2 maggio 2014

Un fazzoletto non basta più.

Ora ho capito.
Temo che sia stato per tutte le volte che ho detto: "No, ce la faccio" e poi mi sono ritrovata nel cantuccio della mia cucina a bere una tazza di thè bollente. Temo sia stato per tutte le volte che ho detto: "Io riesco a scalare la montagna, non mi ferma nessuno" e poi nonostante la buona volontà mi sono ritrovata ai suoi piedi, stanca, esausta con la consapevolezza di vedere la vetta tanto lontana da scoraggiare ogni partenza.
Temo sia stato per tutte le volte che ho fatto diligentemente tutto quello che era giusto che facessi senza preoccuparmi abbastanza se fosse quello che volevo realmente io.
Temo che sia stato per tutte quelle volte che ho avuto la sensazione di non essere mai abbastanza, non sufficiente, e ho fatto in modo che mi andasse bene ugualmente.
Ora ho capito che per tutti questi episodi, piccolezze, attimi mal considerati, situazioni sempre giustificate dal mio buon senso che da un po' di tempo a questa parte non avevo più la forza di iniziare, finire o continuare niente che non fosse piangere. Senza un motivo reale ma come se tutte queste lacrime non riuscissero più a stare dentro, come se fossero vecchie di anni rimaste intrappolate in qualche grotta segreta della mia anima, come se si fosse rotto l'argine che da bravo soldatino avevo costruito.



Suono il campanello. 
La porta è aperta.
Odore di caffè e profumo di pulito. 
Lei mi viene incontro con un sorriso fresco e dolce.
Cerco di ricambiare maldestramente, mentre lo faccio sento i miei occhi bruciare ancora.
Non mi sento a mio agio, mi sono convinta solo perchè i miei genitori hanno insistito tanto e come al solito non sono abbastanza forte per dire di no.

Ci sediamo in una stanza calda e confortevole, il computer è acceso sulla scrivania.
Il mio sguardo cerca un lettino nel quale mi aspettavo di dover sdraiare i miei pensieri. 
Solo poltrone che sembrano essere comode.

Mi aspettavo indossasse in un completo elegante. 
Al contrario, veste in modo elegante una tuta comoda e informale.

Iniziamo a parlare e in meno di un minuto mi ritrovo a piangere e a scusarmi.
Lei sorride in un modo dolce e tranquillo, non dice niente. Mi ascolta.
Quella che doveva essere la nostra chiacchierata è più un mio flusso di coscienza che si agita tumultuoso tra un singhiozzo e l'altro.

Le sue parole cadono morbide nei miei silenzi e io sono perfettamente a mio agio con una sconosciuta mentre le racconto i miei segreti più intimi.

Mentre sto andando via mi sento sollevata, sarà pure perchè ho consumato una scatola di Kleenex.

Spero che questa sia la giusta direzione per ritrovarmi finalmente.
 


mercoledì 9 aprile 2014

Attimi di consapevolezza.

Lo dico sempre più spesso: ho sbagliato facoltà, avrei potuto fare una vita più spensierata, avrei potuto avere più tempo per me, avrei potuto faticare di meno sui libri, avrei potuto ottenere il massimo risultato con il minimo sforzo. 
Se solo quel giorno non avessi scelto di fare il Test, se quel giorno avessi pensato di non essere abbastanza, se non fossi rientrata probabilmente avrei vissuto meglio questi anni.

Oggi mi trovo a studiare in un'università che non è la mia, posti nuovi e aria diversa, gente mai vista e la pace giusta per studiare. 

La ragazza che è seduta vicino a me inizia a parlare con un tizio che ha appena incontrato, sembrano amici. 
Poco più tardi capisco che in realtà non si neanche conoscono sono soltanto accomunati da una stessa sorte, un unico destino: l'attesa dei risultati per il Test, lo stesso test che ho maledetto tante volte.
Lui dice che ha abbandonato gli esami della sua facoltà nell'ultimo anno per prepararsi al test. 
Lei dice che ha perso il sonno negli ultimi mesi. 
Si confrontano un paio di risposte e si salutano amichevolmente.
Lei si risiede al suo posto e sospira, di un sospiro pieno di ansia e di angoscia. 

Un sospiro che conosco bene.

Io, sospiro di gioia. 

Grata perché 5 anni fa quel Test l'ho superato, grata perché io ho il posto che molti sognano. 
Grata perché posso studiare per diventare quello che ho sempre sognato di essere: un medico.
La verità è che io ho sempre avuto un'unica grande scelta, la mia scelta è la mia vita.


Penso ad una stupidissima frase che ho letto su internet : "Sul dizionario non a caso la parola sudore viene prima della parola successo"
Riprendo a studiare e sorrido.

sabato 29 marzo 2014

Amicizia rara 2.0

Stamattina c'è il sole.
Sorrido aprendo i libri.
Sono contenta.


Giovedì è arrivato e l'ho rivisto. 
Lui Mi ha abbracciato.
Non ci siamo detti niente.
Niente discorsi lunghissimi e spiegazioni contorte.
Ci siamo abbracciati forte e in quei quattro secondi ci siamo detti tutto.
Ci siamo guardati e abbiamo sorriso. 
Lui mi ha accarezzato la testa e poi mi ha chiesto se volessimo andare a pranzo.
Finalmente siamo noi.
La sera, mi ha riaccompagnato a casa.
Io gli ho lasciato i biscotti perché non arrivasse a casa troppo affamato.

Venerdì mattina Lui è venuto a prendermi a casa.
Abbiamo fatto colazione al bar, insieme. 
Finalmente, siamo di nuovo noi.

Mi prende in giro ma non cerca i miei occhi. Ride, sicuro che io lo stia guardando e continua a guidare guardando dritto la strada.

Ora ho capito i limiti e le dimensioni spaziali. 
Ho capito che lui ha scelto di stare con lei. 
Lei non sono io. 
Noi siamo solo amici.
Va bene, anche se come ci guardiamo noi per me sarà sempre un sintomo di una malattia troppo rara da poter essere studiata.

mercoledì 26 marzo 2014

Quando meno te lo aspetti.

Oggi mi ha chiamato! 
Non il postino, non la signorina del call center, non il professore, non la mia migliore amica. 
P. 
Lui. 
Dopo DIECI giorni di religioso silenzio (immotivato) in cui ho resistito dal cercarlo e/o scrivergli e/o farmi sentire in qualsivoglia forma di comunicazione conosciuta dall'uomo e dagli animali, lui MI CHIAMA.

Dopo un pranzo frenetico vado a lezione sperando di vederlo.
Non c'è.
Sento la sua mancanza, il fatto che non possa neanche vederlo mi fa preoccupare. 
Ho la tentazione di scrivergli, ma non lo faccio. 
Sto buona, prendo la penna e inizio a prendere appunti.
Concentratissima sulle parole del professore non mi ero accorta che il telefono stesse vibrando. 
Apro la custodia. 
Vedo il suo nome scritto a caratteri cubitali.
Penso: "Cazzo!!!"
Rifiuto la chiamata, gli scrivo un messaggio: "sto a lezione, ti richiamo dopo!"


Tornata a casa, era passata ormai un'ora. 
Ho deciso che potevo richiamarlo. 
Abbiamo parlato di tutto, come ai vecchi tempi.
Ridevo tanto. 
Anche lui. 
Ero talmente emozionata che parlavo senza sosta, volevo raccontargli tutto, tutto quello che non ci siamo detto negli ultimi tempi, negli ultimi giorni.
Ero felice.
Ha detto che era preoccupato per me, voleva sapere come stessi. 
Ha detto che gli sono mancata. 
Io non ho risposto, ho tergiversato. 
Ultimamente lo so fare benissimo.
Dopo 20 minuti mi ha salutato: "vabbè allora ci vediamo giovedì"
Questo giovedì ci vediamo davvero.
Sarà un giorno come un altro, almeno spero. 
Mi è mancata così tanto la normalità.

sabato 22 marzo 2014

Cough / Thought.

In un sabato sera primaverile, resto a casa.
Obbligata ufficialmente dalla tosse che non mi lascia neanche il tempo di sviluppare una frase, interviene prepotente e le mani recuperano il fazzoletto che si è perso tra i libri sulla scrivania. 
Soffio il naso per l'ennesima volta e cerco di rubare un po' d'aria.
Ce la posso fare. Forse.
Quale sera migliore se non questa per riprendere il computer e scrivere come facevo una volta.
Solo io e il rumore dei tasti che si muovono sotto le dita. (Ah e ovviamente la mia amata tosse.)
Metto un po' di musica.
La voce di Chris Martin placa il mio stato di agitazione.

Nessuna novità.
Niente è cambiato.
Ha detto che avrebbe dovuto parlarmi, chiedermi scusa.
Ha detto che aveva capito di aver sbagliato e che avevo ragione ad essere arrabbiata.
Mi ha detto che Giovedì mi avrebbe spiegato.
Quel Giovedì non è mai arrivato.
Lui non si muove dalla sua comodissima posizione che lo lascia dormire tranquillo.
Io, non so neanche più come comportarmi.
Cerco di sopportare l'insopportabile, di digerire tutto, di lasciar correre, lasciar perdere.
Sono diventata bravissima nel fare finta che non mi importi più niente.
In realtà la verità è che mi importa ma non posso fare altro.

O meglio, potrei.

Potrei dirgli che non mi va più questa situazione.
Potrei dirgli che ho deciso che non voglio più stare male.
Potrei dirgli che non voglio più fare finta.
Potrei dirgli che visto che non vuole chiarire la situazione, io devo tagliare tutto.
Tagliare, chiudere, mettere un punto.
Perché invece mi accontento di stare male per la paura di stare peggio?

Sto a casa, in pigiama, respiro a malapena e tossisco troppo.
Parlo con me stessa attraverso i tasti di un computer ascoltando musica malinconica
Decisamente c'è qualcosa che non va.

1. Cambio musica: U2 - Beautiful Day.

Ok. Ora va meglio.

Vado a letto.
Premo il tasto RESET.
Vado a prendere un po' di sciroppo per i pensieri per la tosse.



mercoledì 12 febbraio 2014

Serpenti nello stomaco.

Sento spine, serpenti che si muovono nel mio stomaco.
Pensieri che si attorcigliano nelle parole. 
Le mie dita tamburellano sul tavolo.
Vorrei non pensarti
Mi hai scritto che mi devi delle scuse, che mi vuoi parlare, che mi spiegherai.

Da quel momento non ci siamo più visti:sessione d'esame.
Da quel momento è scesa una settimana di gelo. Niente.

Se ti ho scritto è stato solo per sapere come stessi dopo la risonanza.
Abbiamo parlato.
Da quel giorno Ci siamo sentiti ogni tanto. 
Qualche volta. 
Quando mi mancavi.
Quando mi manchi.
Ti scrivo io per sapere come stai.  
Ti scrivo io per dirti dell'esame 
Ci sentiamo e io scherzo sull'idea di non poter più scherzare, parlare con te.
Tu ridi.
Io rido. 
In realtà non mi sono simpatica, ma è l'unico modo per non visualizzare la voragine e l'abisso che ormai c'è tra di noi. 
Passerà, mi dico. 
Un giorno, faremo in modo che le parole che ti ho detto non siano mai esistite. 
Torneremo come prima.
Mi manchi tanto.

sabato 25 gennaio 2014

Stream of consciousness.

C'è stato un periodo in cui credevo di poterti dire tutto, in cui ci siamo avvicinati così tanto, che pensavo ci fosse davvero qualcosa tra di noi.

Tu dici di no. 
Tu sei fidanzato. 
Tu non puoi.


"A parte l'amicizia non c'è nient'altro". -mi hai detto- 
Ma adesso non c'è neanche quella.
Adesso c'è il gelo e la freddezza di un sorriso cortese e non il calore di una risata complice. 
Tu non riesci più a guardarmi negli occhi né a starmi vicino, né ad abbracciarmi. 

È giusto così, mi dico.
Forse riuscirò a distaccarmi, a dimenticarti.

Tra cosa è giusto e cosa vorrei fare ci passa un abisso di baci non dati, di abbracci non ricevuti e di speranze disattese. 
Ce la posso fare senza il te che avevo immaginato, perché in fondo lui non lo conosco. 
Ma mi manca terribilmente l'amico che eri per me.