lunedì 29 giugno 2015

Empatia

Ho trascorso la giornata ricaricando il sito dell'università. 
Sperando di trovare quell'avviso. 
Sperando di leggere la sua matricola. 
Il cuore scalpitava. 
L'ho chiamato: - prendi appuntamento, hai passato l'esame. 
- Allora, Funziona.
(Funzioniamo ancora.)

domenica 28 giugno 2015

Vicinanze lontane.

Ieri. Ingresso della facoltà. 
Mentre chiacchieravo distrattamente il mio sguardo si è posato su qualcosa in lontananza. 
Prima che potessi rendermene conto, il cuore ha saltato un battito. 
L'ho riconosciuto. Era lui. 
Ci siamo guardati. 
Ho spostato l'attenzione sulla ragazza che gli stava accanto, una 
mia amica. 
Ho sorriso meccanicamente. 
Gli sono andata incontro. 
Ho abbracciato lei. Ho guardato lui. 
Mi ha abbracciato prima con lo sguardo, poi davvero. 
Ero felice di rivederlo. Mi ha stretto in una presa d'acciaio, quasi non volesse lasciarmi andare. 

Abbiamo scambiato chiacchiere di circostanza, discorsi sull'ovvio che se avessi potuto, avrei evitato di fare.
Sembravamo entrambi sul punto di voler scappare, eppure qualcosa ci teneva inchiodati al cemento. Posizioni scomode.
Ho finto una fretta che non avevo, per andare via.
Ero di fronte a lui, ma c'erano almeno mille chilometri tra noi.
Era troppo. 


Dopo un paio d'ore, l'ho raggiunto. 
Sedeva al tavolo con i nostri compagni di corso, a parlare dell'esame che avrebbero dovuto affrontare da lì a mezz'ora.
Volevo fargli sapere che nonostante tutto, tifavo per lui.
Ho preso la penna, e gli ho chiesto di cedermi il polso, Come sempre prima dell'esame.
io gli ho scritto la parola portafortuna, tra le vene e i braccialetti, come sempre prima dell'esame.
- Fatto. Gli dico. - Adesso andrà bene.
Stavo andando via, mi ferma la mano: - Se funziona pure questa volta, mi farò il tatuaggio.

Gli ho sorriso: -Aspettiamo i risultati. Prima di prendere appuntamento. 
Mi ha sorriso: - Ciao. 

In quel momento, non c'erano chilometri tra di noi. Eravamo vicini, di nuovo. Per un attimo.

martedì 23 giugno 2015

Giorno ventitrè

Ogni volta che controllo la data del calendario, penso a quanti giorni sono passati dall'ultima volta che ti ho parlato. 
Non lo faccio di proposito, è un pensiero incondizionato, che parte velocemente, arriva ancora prima di essere cosciente e in un attimo:BUM. 
In un attimo sono li, a farmi prendere dalla tristezza e poi dalla rabbia. 
Ventitregiorni.

Se fossimo ancora noi, ieri mi avresti mandato un messaggio per darmi l'in bocca al lupo. 
Io oggi ti avrei chiamato per raccontarti dell'esame che è andato male.
Tu mi avresti ascoltato e ci saremmo persi nelle digressioni poco logiche delle nostre conversazioni mattutine. 
Ti avrei raccontato del ragazzo dai pantaloni celesti e scarpe celesti, che ha commentato il mio non-esame. 
Ti avrei detto di come mi sono sentita stupida e idiota su quella scomoda sedia, mentre la professoressa mi chiedeva la matricola e io sentivo solo il cuore che batteva, o di quando poi ha iniziato a farmi le domande e io avvertivo solo il vuoto nella testa e non ascoltavo le sue parole. 
Mi avresti preso in giro per il modo in cui mi sono ALZATA-SCUSATA-ANDATAVIA. E io l'avrei lasciato fare solo a te. 

Ieri ti sei informato. 
Sono stata contenta. 
Ma non mi hai scritto. 
Terze persone continuano a fare da piccioni viaggiatori a senso unico. 

E io non so cosa fare. 
Mi manchi sempre tanto.
Oggi di più.

martedì 16 giugno 2015

Just Rewind.

La sua assenza la sento nelle pieghe noiose della mia giornata, nelle parole vuote dei libri che dovrei studiare ma che non capisco, nello squillo del telefono che mi fa sobbalzare.

Apatica.
Abulica.
Annoiata.

Sento come se mi avessero scollegato dalla corrente e adesso,
fossi costretta alle pile.

Funziono, ma non vado bene.

Oggi volevo scrivergli davvero.

- Mi manchi, un po'.
- Anche tu, tanto. Come stai?
- Bene, anche se sono stata meglio.
- Mi dispiace.
- Dispiace anche a me. Vorrei non averti detto niente, così avrei potuto scriverti, vederti, come sempre.
- Vorrei che non mi avessi detto niente così avrei potuto scriverti, vederti, come sempre.
- Ormai l'ho fatto, ne pago i resti.
- Tu vuoi pagare. Per me non c'è niente da pagare. L'hai deciso tu. Io sto solo rispettando quello che mi hai chiesto.
- Lo so, appunto.
- Vedi, io non ti capisco. Ti sto dicendo che per me è tutto ok.
- Per me no. La tua posizione è comoda, tu non hai niente da perdere ma tutto da guadagnare. Io invece, se non perdo te, non posso guadagnare niente di nuovo.
- Tu  non stai bene.
- Lo so. Devo imparare a stare bene senza averti accanto
- Io se vuoi, ci sono.
- Io vorrei, ma non posso. Ciao.
- Ciao.



Questo è più o meno quello che ci saremmo detti, se mi fossi convinta a premere il tasto "INVIO".
Meglio così, alla fine, non ho davvero più niente da dirgli.

giovedì 11 giugno 2015

Punti. Di vista.

Il punto è che non riesco a mettere un punto. 

Sono esattamente undici giorni che non lo vedo. 

Undici giorni che non parliamo. Undici giorni di vuoto. 
Ho deciso io che non potevamo più essere niente, se non potevamo essere tutto. 

Lui ha detto che rispetterà quello che gli ho chiesto: tempo e distanza.
Solo che adesso, mi sembra di aver fatto una enorme gigantesca idiozia.
Essere amici non era niente, era meglio che niente!! 
Non averlo più nella mia quotidiana normalità mi spiazza. 
Andrà meglio con il tempo, mi rassicuro. 
Imparerò ad abituarmi alla sua assenza.  
Intanto respiro. 


È un dolore di tipo urente e allo stesso tempo, finemente discriminato.
È come se la tristezza possa mangiare con un cucchiaino un pezzetto del mio cuore, ogni giorno. 



"Mi manchi"
Scrivo. 
Cancello. 
Spengo il telefono.

Io sto male. Io si. Lui no.
Questione di prospettiva. 

lunedì 1 giugno 2015

S. 2.0


Le coincidenze.
Non ci ho mai creduto davvero. Ma devo ammettere che a volte, il caso è strano.


Alla festa di fine corso non volevo neanche andarci.
Non sono per le mega feste, non sono per la musica urlata dalle casse dell'amplificatore, non sono per i bicchieri di vino ingollati uno dietro l'altro. 
Eppure, mi sono convinta. 
E ho fatto cose che non avevo mai considerato di fare ad una festa: divertirmi, ballare e bere.  
E si capiva che doveva essere una serata epocale già dal prologo. 
Nei primi venti minuti stavo già al secondo bicchiere. 
Dopo quaranta, già al sesto. 
Dopo di che penso di essermi fermata o forse no. 
Sta di fatto che mi sentivo invincibile e potente, e mi sembrava di essere al posto giusto, nel momento giusto. Era necessario a quel punto per me, considerato il delirio di onnipotenza che mi pervadeva, essere onesta e sincera fino in fondo: dovevo andare da P. e confessargli tutto, sul serio. Questa volta senza remore, né telefoni a fare da intermediari. Questa volta dovevamo esserci io e lui. E sarebbe stato abbastanza o sarebbe stato troppo. 
Un mio amico ha evitato pazientemente, che mi infilassi in discorsi scomodi in quello stato. 
E io come una bambina capricciosa protestavo, ma alla fine ubbidivo. 
Fino a quando la festa è finita, la musica e la mia euforia sono state spente, le luci e la mia lucidità accese. 
Ma avevo ancora sufficiente incoscienza o coraggio dentro di me per spingermi verso la sincerità. 
O dentro o fuori - mi sono detta. 
E sono andata da lui. 
Gli ho preso la mano: Vieni. 
Siamo andati fuori dal locale vuoto. 
L'aria fresca della notte mi svegliava i sensi, o forse era il suo profumo. 
Mi guardava interrogativo. 
E poi gli ho detto tutto. Tutto. Tutto. 
E lui mi ha detto che non sentiva niente. Niente. Niente. 
Ma lo sapeva. 
Sapeva che io sentivo tutto. 
E lui, lui non sentiva niente. 
Ma che lui mi ha tenuto vicino perché teneva alla nostra Amicizia, perché non voleva perdermi, perché aveva bisogno di me.
Lui non sente niente. 

E allora dove le metti le volte in cui abbiamo riso, fino a non saper più dove mettere le lacrime.
O gli abbracci che mi hanno tolto la terra sotto i piedi, perché di felicità ce n'era troppa e non sapevamo dove metterla.
Dove li metti gli sguardi di complicità, le parole di incoraggiamento, le serate passate a farci addormentare i brutti pensieri. 
Dove le discussioni senza filo logico, quando anche la causa è diventata una scusa ed è solo un motivo in più per litigare e poi fare pace. 
Il mio tutto, per lui è niente. 

Lo guardo, per un secondo. 
Lui mi guarda. 
Gli dico che ho capito e vado via. 
Lui mi dice che capirà se vorrò allontanarmi. 
Io gli dico che non posso fare altrimenti.
Non possiamo più essere amici. 
Non possiamo più essere niente. 

Questa volta sul serio, fine. 
Tieniti la tua vita mediocre, da cui non riesci a separarti. Una fidanzata che non ami, un paese troppo piccolo, una vita che non senti tua. 
Tieniti i tuoi pensieri, le tue preoccupazioni per te. 
Io ho una vita da mandare avanti. 
Io merito di più che aspettare. 


Oggi ho saputo dal suo aggiornamento di stato che il cellulare che avevo fatto cadere io, e che da quel giorno aveva lo schermo diviso in tre, si è spento per sempre.

Proprio la settimana scorsa, mi ha detto che tutte le volte che lo guardava, gli era inevitabile pensarmi. 

Ecco, ora è tutto più facile. 
Niente più cellulare. 
Niente più io.
Coincidenze.